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Dylan canta il Natale e fa beneficenza

C’è già chi canta “Is snowing in the wind”, oppure “Hey mr Santa Claus, play a song for me”. Non se lo aspettava nessuno, a parte qualche anticipazione durante l’estate. Invece è arrivata la notizia ufficiale: il 47esimo album di Bob Dylan sarà pronto a ottobre, appena sei mesi dopo l’uscita di Together through life. Questo non sarà però un’uscita come le altre. Dylan è abituato a stupire e anche stavolta non tradisce le aspettative. Il nuovo LP si chiama Christmas in the heart, interamente dedicato al Natale con famosi standard come “Must Be Santa,” “Little Drummer Boy,” “Winter Wonderland” e “Here Comes Santa Claus.” La notizia è stata data dal mensile Rolling Stone e confermata a tutti i fan sul sito internet di Dylan.

La seconda notizia, che rende questo album, se possibile, ancora più unico, è che tutti i proventi dei diritti andranno in beneficenza a Feeding America, la più importante associazione di beneficenza americana che si occupa di assicurare un pasto a quasi un milione e mezzo di famiglie americane che vivono in povertà. Mentre le future royalties di Christmas in the heart saranno devolute in favore di altre associazioni di beneficenza in tutto il mondo.

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Cronache dentro il terremoto: il racconto quotidiano di Giustino Parisse

Il 7 agosto 2009 Domenico Parisse avrebbe compiuto 18 anni. Suo padre Giustino, caporedattore del Centro a L’Aquila, non gli ha potuto organizzare la festa che sognava. Lui e la moglie Dina hanno invece solo una tomba su cui piangere Domenico, Maria Paola, l’altra figlia di appena 16 anni, e il padre di Giustino, che si chiamava Domenico anche lui.
Il 7 agosto Giustino Parisse ha presentato un libro, si chiama “Quant’era bella la mia Onna, cronache da dentro il terremoto”: una raccolta dei suoi articoli pubblicati sul Centro dopo la tragedia. Ad appena una settimana dal sisma che gli ha distrutto la famiglia, Giustino Parisse è tornato sul campo a fare il suo mestiere. Chi ha letto il giornale in quei giorni ha visto riapparire, il 14 aprile, la sua firma e le sue parole, una in fila all’altra, un io narrante che ha accompagnato gli aquilani accampati nelle tende, oppure chi si era spostato sulla costa, tra le ossa rotte del cratere e facendo quello che un giornalista sente di dover fare in ogni momento, anche col lutto nel cuore: raccontare.
L’intero ricavato del libro (prezzo 10 euro) sarà interamente devoluto alla Pro loco e alla Onlus di Onna per la ricostruzione.
Accanto a Giustino Parisse, alla presentazione c’erano Guido Bertolaso, il sindaco de L’Aquila Massimo Cialente, il direttore del Centro Luigi Vicinanza ma soprattutto i cittadini di Onna, che hanno riempito la chiesa tenda del campo, in piedi a decine anche fuori. Giustino Parisse ha raccontato il terremoto e ha fatto a Domenico, nel giorno del suo diciottesimo compleanno, un grande regalo. Ha continuato la sua missione, in aiuto agli abruzzesi, agli aquilani e agli onnesi, la sua gente che, come lui, deve ricostruire e ricominciare.

Giustino Parisse
Il 7 agosto 2009 Domenico Parisse avrebbe compiuto 18 anni. Suo padre Giustino, caporedattore del Centro a L’Aquila, non gli ha potuto organizzare la festa che sognava. Lui e la moglie Dina hanno invece solo una tomba su cui piangere Domenico, Maria Paola, l’altra figlia di appena 16 anni, e il padre di Giustino, che si chiamava Domenico anche lui.

Il 7 agosto Giustino Parisse ha presentato un libro, si chiama “Quant’era bella la mia Onna, cronache dentro il terremoto”: una raccolta dei suoi articoli pubblicati sul Centro dopo la tragedia. Ad appena una settimana dal sisma che gli ha distrutto la famiglia, Giustino Parisse è tornato sul campo a fare il suo mestiere. Chi ha letto il giornale in quei giorni ha visto riapparire, il 14 aprile, la sua firma e le sue parole, una in fila all’altra, un io narrante che ha accompagnato gli aquilani accampati nelle tende, oppure chi si era spostato sulla costa, tra le ossa rotte del cratere e facendo quello che un giornalista sente di dover fare in ogni momento, anche col lutto nel cuore: raccontare.

L’intero ricavato del libro (prezzo 10 euro) sarà interamente devoluto alla Pro loco e alla Onlus di Onna per la ricostruzione.

Accanto a Giustino Parisse, alla presentazione c’erano Guido Bertolaso, il sindaco de L’ Aquila Massimo Cialente, il direttore del Centro Luigi Vicinanza ma soprattutto i cittadini di Onna, che hanno riempito la chiesa tenda del campo, in piedi a decine anche fuori. Giustino Parisse ha raccontato il terremoto e ha fatto a Domenico, nel giorno del suo diciottesimo compleanno, un grande regalo. Ha continuato la sua missione, in aiuto agli abruzzesi, agli aquilani e agli onnesi, la sua gente che, come lui, deve ricostruire e ricominciare.

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L’Aquila, il terremoto nella città dei morti

021Anche qui ci sono i nastri bianchi e rossi, per delimitare le strutture pericolanti, i padiglioni più vecchi, ma anche le strutture più recenti. Pezzi di intonaco, piastrelle, rivestimenti in marmo: tutto in briciole. Il cimitero de L’Aquila ha accusato il colpo, come tutto nel capoluogo abruzzese. E tutto è rimasto come tre mesi fa: a terra ci sono i fiori, portati prima del 6 aprile, secchi e in decomposizione. I vasi invece sono stati riempiti di fiori freschi, dove ancora si può accedere,  calpestando calcinacci e pezzi di muro.

Quello che colpisce di più sono le lapidi dei loculi, piombate a terra, nomi e date fatti a pezzi, i volti dei cari estinti che guardano il soffitto. Tantissime tombe mostrano ora il cemento con cui sono state sigillate, il nome graffito con una punta, scritto prima che fosse pronta la lastra di marmo. Anche la chiesa è pericolante, recintata con transenne metalliche. Tutt’attorno il silenzio irreale di un pomeriggio assolato d’estate

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Poggio Picenze, la sera fuori dalle tende Notti magiche a ritmo di blues

Poggio Picenze in blues

Si ricomincia da qui: dalla musica. La gente di Poggio Picenze esce dalle tende e si ritrova in piazza per l’appuntamento con il blues, come ogni anno, questa volta con una motivazione in più: scacciare gli incubi del terremoto. Davanti alla chiesa ferita e puntellata, più sotto i cantieri della ricostruzione. La platea gremita e i posti a sedere che non bastano: voglia di ricostruire partendo dalle cose normali, come lo spettacolo che porta qui, ogni anno, i migliori artisti della scena blues.

Otis Taylor è il clou della nona edizione di “Poggio Picenze in blues”: la terza di quattro serate dopo la Vasti Jackson band e la Ronnie Baker Brooks band. L’artista dell’Illinois regala grande emozione e coinvolgimento. Chiama tutti sotto il palco perché, dice: “Se venite qui sotto io suono meglio”. E comincia la festa. Lui con banjo, chitarra elettrica e armonica tiene viva l’attenzione, coinvolgendo il pubblico con verve e simpatia. Il resto lo fa la musica e la sua band (sua figlia lo accompagna al basso).

L’ingresso era libero, Taylor ha accettato di venire da Londra e suonare a budget ridotto per la popolazione terremotata. Il bluesman statunitense è in tour per presentare il suo nuovo album che si poteva acquistare anche a fine serata: costo 20 euro, 5 dei quali, ha fatto sapere prima dello spettacolo, sarebbero stati destinati proprio alla Pro-loco di Poggio Picenze per organizzare gli eventi musicali futuri.

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Cavallette all’Aquila

In Abruzzo non bastava il terremoto devastante del 6 aprile e lo sciame sismico che continua a tenere in tensione gli sfollati. Non bastava neanche il caldo asfissiante di questi giorni, che rende insopportabile la vita in tenda. Adesso sono arrivate anche le cavallette. Sono tante e sono molto grosse. Gli insetti hanno invaso il nuovo tribunale dell’Aquila, sembra che provengano da Bazzano ma sono state avvistate anche a San Gregorio, Poggio Picenze e Barisciano.

Per molti bambini, tutti presi dalla caccia alla cavalletta, è un diversivo in più. Per tutti gli altri un segnale inquietante: quali altre piaghe dovrà mandargli la mala sorte? Ecco le foto del nostro inviato Matteo Marini.

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Le rovine dimenticate di Castelnuovo

La statale 17 fila via dritta, superata Onna, San Gregorio e Poggio Picenze, su un lungo rettifilo che taglia in due il “cratere” verso est. San Pio delle Camere è uno dei paesi più lontani dall’epicentro del sisma ma il 6 aprile la terra si è fatta sentire anche qui. Case fatte di grosse pietre e malta di limo. Quello estratto dalle “camere”, le grotte scavate per ricoverare il bestiame.

Le case sono vecchie, antiche, alcune costruite nel 1400. San Pio ha retto abbastanza bene alla scossa, costruito sulla pietra, a mezza costa sulla sinistra dominato dal castello recinto. La frazione di Castelnuovo invece, oltre alla conta dei danni, ha dovuto affrontare anche quella delle vittime.

Cinque i nomi della lista: Refik e Demal Hasani, Maria Fina Marrone, Emanuele ed Emidio Sidoni. Il vecchio borgo se ne sta accovacciato sopra una piccola altura a ridosso della statale, il lungo arco di centinatura approntato dai vigili del fuoco della toscana forma una specie di galleria: a metà la strada è sbarrata da una barriera costruita con assi di legno chiaro. Oltre quella l’inferno, il paese è devastato.

Più del 90 per cento delle case qui è distrutto o da abbattere. Un mare di macerie, onde di detriti sotto tetti precipitati al suolo, abitazioni antiche anche di secoli non hanno retto questa volta. I mattoni sono pochi, piuttosto pietre e maltina friabile come gesso: tutto in polvere. Cinque morti. “Potevano essere 200” dicono in paese, se fosse stata la settimana di pasqua ci sarebbero state molte più persone. Altrimenti sarebbe stata una seconda Onna, forse ancora più tragica della prima.

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L’urlo dei comitati: “L’Aquila torni in mano ai cittadini”

Una rete di comitati e movimenti, per aiutare L’Aquila a ripartire, a ricostituire il tessuto sociale che il terremoto ha strappato la notte tra il 5 e il 6 aprile. Al Forum per la ricostruzione sociale, in via Strinella all’Aquila erano diverse le anime presenti per manifestare, a una voce, il dissenso contro le politiche del governo e i modi di gestione della ricostruzione. No Dal Molin, Presidio di Chiaiano, Abruzzo social forum. Poi i rappresentanti sindacali di Fiom, Filt Cgil e protezione civile assieme ai movimenti No-global per dire no al G8.
Ascolta gli interventi del

Una rete di comitati e movimenti per aiutare L’Aquila a ripartire, a ricostituire il tessuto sociale che il terremoto ha strappato la notte tra il 5 e il 6 aprile. Al Forum per la ricostruzione sociale, in via Strinella all’Aquila erano diverse le anime presenti per manifestare, a una voce, il dissenso contro le politiche del governo e i modi di gestione della ricostruzione. No Dal Molin, Presidio di Chiaiano, Abruzzo social forum. Poi i rappresentanti sindacali di Fiom, Filt Cgil e protezione civile assieme ai movimenti No-global per dire no al G8 e chiedere più attenzione a quello che sta accadendo, o che non sta accadendo, in città.

Ascolta gli interventi del forum

Nel dibattito della mattinata, moderato dal giornalista di Carta Pierluigi Sullo, si è parlato di disinformazione e propaganda governativa. Secondo tutti gli intervenuti le misure e le dichiarazioni fin qui intraprese per far fronte all’emergenza terremoto sono solo servite a creare un inganno e uno spot per il governo. La vera ricostruzione non è iniziata ancora – dicono – bisogna dare forza alla rete di cittadini per ripartire, dal basso però, perché l’emergenza ha accentrato i poteri nelle mani di una sola persona: Guido Bertolaso. “L’Aquila rischia di sparire, smembrata e dispersa come sta già accadendo per il G8 è la loro denuncia: ai cittadini deve essere restituita la capacità di incidere concretamente nelle scelte e di prendere parte attiva al processo di ricostruzione“.

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Da Elvis a Jacko, perché i re non possono morire

Si legge già ora e si leggerà in futuro, che Jackson in realtà non è morto, qualcuno l’ha visto a Los Angeles, altri lo collocano in Bolivia. Il tormento rimbalza su twitter e su Facebook. Magari sta allegramente bivaccando con i compagni di destino, Jim, John, e, su tutti, the King.
Il successo, l’apoteosi, la caduta e un trono che rimane senza il suo re. Non c’è mai stato nessuno come loro, dopo di loro i revival, i tributi e un senso di decadenza: quello che succede dopo la morte di un mito. Michael Jackson come Elvis Presley, due personaggi così lontani nella generazione, nel genere e nella biografia, ma in qualche modo così legati (Jackson aveva sposato la figlia di Presley) così simili le loro storie fatte di genio e rivoluzione, eccessi, lusso, stravaganze e rovina. Una rovina che non è mai completa, non per tutti. Per molti sono ancora vivi, in mezzo a noi, dopo una pregevole messinscena dell’ultimo viaggio.
Uno era il re del rock’n roll, quello che, per dirla con le parole di Springsteen, “ha liberato il nostro corpo”, il movimento pelvico così irriverente e sfrontato di fronte all’America degli anni ’50 e ’60. E ci sono volute le movenze del re del pop per stupire di nuovo con la stessa veemenza. Tutti a bocca aperta di fronte al passo lunare, il moonwalking che vanta innumerevoli tentativi di imitazione.
Due personaggi che sono diventate icone glamour, una moda e una tendenza. Uniti dalla sregolatezza dei costumi, dell’ansia della propria immagine e dalla megalomania, lapide sulla quale entrambi sono caduti senza sapersi più rialzare. Il disfacimento del corpo li ha colpiti prima del tempo, uno bolso e impacciato anche nelle sue ultime esibizioni dal vivo, la pallida ombra di un re con lo scettro in mano, la sua Gibson enorme, i lustrini e i capelli come vent’anni prima. Fermo davanti a un microfono senza che nulla, che non fosse la sua voce, vibrasse più come all’apice della carriera.
L’altro con il volto decomposto, ai processi e alle conferenze stampa che sono state i suoi ultimi live, l’ultimo palco lo attendeva a Londra quest’estate. Stupire con la propria vita quando non si riesce più a stupire con la propria arte. Estremo tentativo di fuga da un esilio senza scampo.
La fine in circostanze insolite è quello che accomuna la storia di tante leggende, da Jim Morrison a Bob Marley, da Hendryx a Cobain. Morti in circostanze che per tanti diventano mistero. Loro non possono morire perché il lutto è globale e non viene accettato. Il mondo si riempie di sosia, fermi alle parvenze felici dei primi anni della carriera. E loro risorgono.

Michael Jackson ed Elvis PresleySi legge già ora e si leggerà in futuro, che Jackson in realtà non è morto, qualcuno l’ha visto a Los Angeles, altri lo collocano in Bolivia. Il tormento rimbalza su Twitter e su Facebook. Magari sta allegramente bivaccando con i compagni di destino, Jim, John, e, su tutti, the King.

Il successo, l’apoteosi, la caduta e un trono che rimane senza il suo re. Non c’è mai stato nessuno come loro, dopo di loro i revival, i tributi e un senso di decadenza: quello che succede dopo la morte di un mito. Continua a leggere

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